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Parcheggio condominiale: legittimo un uso diverso tra appartamenti e cantine

È ragionevole che questi ultimi utilizzino l’area solo per il tempo necessario ad alcune operazioni e con una sola auto alla volta

Il diritto di parcheggiare non sempre può essere garantito a tutti i condòmini quando l’area comune destinata a tale uso risulta insufficiente. In tali casi, è legittimo adottare un sistema di utilizzo turnario per regolamentarne l’accesso.

Una questione specifica riguardante l’uso turnario del parcheggio è stata esaminata prima dal Tribunale e poi dalla Corte d’Appello. La controversia era stata sollevata dai proprietari di due cantine che rivendicavano il diritto di accedere al parcheggio turnario, al pari degli altri condòmini residenti nello stabile. Secondo loro, tale diritto veniva violato dal divieto sancito dal regolamento condominiale, considerato ingiusto e discriminatorio nei loro confronti. La vicenda è stata oggetto della sentenza 952/2025 pronunciata dalla Corte d’Appello di Genova.

 

L’esclusione dall’uso di alcuni condòmini

L’uso dell’area pertinenziale era stato oggetto di due delibere con cui la maggioranza dell’assemblea aveva escluso i condòmini proprietari di sole cantine dalla possibilità di parcheggiare. Tali delibere, tuttavia, erano state dichiarate nulle dal Tribunale poiché, violando l’articolo 1102 del Codice civile, impedivano ad alcuni comproprietari di fruire della cosa comune in egual misura rispetto agli altri. Inoltre, le decisioni superavano le competenze dell’assemblea, che non poteva adottare tali provvedimenti a maggioranza.

Successivamente, l’assemblea ha approvato una nuova clausola del regolamento condominiale stabilendo che gli appellanti potevano utilizzare esclusivamente l’area destinata al carico e scarico, già segnalata con apposita indicazione, e solo per il tempo necessario a tali operazioni, limitando l’accesso a una sola auto alla volta. In questo caso, il Tribunale ha respinto l’impugnazione, ritenendo che la clausola garantisse l’uso comune dell’area parcheggio, definendo semplicemente criteri d’uso proporzionati alle necessità effettive dei condòmini. I proprietari delle cantine hanno presentato ricorso contro tale sentenza, sollevando contestazioni specifiche riguardo alle modalità d’uso dell’area esterna comune, destinata a verde pubblico con camminamenti pedonali e posti auto. La Corte di Appello è intervenuta per chiarire i punti in discussione.

 

Il criterio della ragionevolezza

La richiesta del proprietario di una cantina di usufruire del parcheggio condominiale con gli stessi diritti di un condomino proprietario di un appartamento, equiparando esigenze abitative a necessità logistiche, appariva eccessiva e poco sensata, poiché tendeva a sacrificare le prime e strumentalizzare le seconde.

D’altra parte, risultava più appropriato e razionale definire modalità separate di accesso e utilizzo dell’area condominiale in relazione alla natura dell’unità di riferimento. In tal modo, si potrebbe regolare diversamente l’accesso alle abitazioni rispetto a quello alle cantine, seguendo un criterio di ragionevolezza che prevede un trattamento differenziato per situazioni diverse e uniforme per circostanze analoghe.

 

Conclusioni

Per queste motivazioni, la Corte d’Appello di Genova ha respinto integralmente il ricorso, confermando la sentenza contestata. Ha giudicato ragionevole che i proprietari delle cantine, a differenza di quelli delle abitazioni, potessero utilizzare l’area esclusivamente «per il tempo strettamente necessario alle operazioni indicate e con una sola autovettura per volta».

Electricity

Fotovoltaico sul tetto: l’uso esclusivo non deve violare il pari uso

Il Tribunale di Rovereto, con la sentenza n. 193/2025, offre un intervento deciso su una tematica divenuta ricorrente nella giurisprudenza condominiale: la possibilità, per un singolo condomino, di installare impianti fotovoltaici sul tetto comune. La pronuncia si focalizza su un caso specifico riguardante un impianto posizionato unilateralmente, che occupava quasi tutta la superficie sfruttabile delle falde esposte al sole. Questa scelta ha avuto l’effetto pratico di impedire agli altri condomini la possibilità di realizzare sistemi simili.

 

Il principio di liceità e i limiti

La pronuncia prende le mosse da un principio fondamentale: l’installazione di impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili è considerata legittima in linea generale, anche se realizzata su beni comuni, come stabilito dall’articolo 1122-bis, comma 2, del Codice civile. Tuttavia, l’uso della cosa comune da parte di un singolo condomino deve sempre rispettare i limiti previsti dall’articolo 1102 del Codice civile, il quale vieta sia di alterare la destinazione del bene sia di impedire agli altri condòmini di utilizzarlo in modo analogo. Nella fattispecie analizzata, il Tribunale ha evidenziato che la collocazione e le dimensioni dell’impianto fotovoltaico installato hanno comportato un’occupazione quasi esclusiva del tetto comune, precludendo agli altri partecipanti al condominio la possibilità di trarne un beneficio equivalente.

 

L’uso intensivo e totalizzante del bene comune

Il giudice ha stabilito che l’utilizzo effettuato fosse di natura particolarmente intensa e totalizzante, risultando così in contrasto con le norme che regolano l’uso della proprietà comune. Sebbene l’installazione fosse tecnicamente compatibile con la struttura dell’edificio, essa ha finito per generare una forma implicita di esclusione nei confronti degli altri comproprietari. Secondo il Tribunale, il fatto che il singolo condomino abbia agito per soddisfare un proprio fabbisogno energetico risulta irrilevante. L’aspetto centrale, infatti, è rappresentato dall’impatto che l’uso individuale ha sui diritti degli altri.

 

Il rimedio: riduzione e riequilibrio

Di particolare interesse è la soluzione adottata dal Tribunale, che ha scelto un approccio equilibrato. Piuttosto che ordinare la completa rimozione dell’impianto, ha recepito gli esiti della consulenza tecnica, stabilendo una riduzione del numero di pannelli installati. Questa misura è stata progettata per consentire ad almeno due altri condomini di poter installare impianti autonomi. In questo modo, si è ripristinato un bilanciamento nell’uso del bene comune, preservando al contempo al resistente la possibilità di usufruire del suo impianto, seppur in forma ridotta.

 

Il profilo processuale e il contraddittorio

La sentenza si sofferma su un importante aspetto di natura processuale. Il Tribunale stabilisce che non è necessario coinvolgere tutti i comproprietari nel contraddittorio, poiché l’azione proposta non incide sulla configurazione della cosa comune, ma si limita a richiedere la rimozione di un uso improprio. Di conseguenza, trattandosi di un’azione mirata a preservare l’equilibrio condominiale ai sensi dell’articolo 1102, è sufficiente chiamare in giudizio solo il condomino che ha realizzato l’intervento contestato.

 

Il rilievo della pronuncia

La recente decisione del Tribunale di Rovereto assume un’importanza significativa sul piano sistemico. In un contesto in cui l’installazione di impianti fotovoltaici sta guadagnando sempre più terreno, anche negli ambiti condominiali, essa fornisce un utile e chiaro principio orientativo: l’azione individuale è ritenuta legittima solo nella misura in cui non pregiudica il diritto collettivo di tutti i condomini a beneficiare della stessa risorsa. Sebbene l’autoproduzione di energia sia fortemente promossa dal legislatore, questa non può tradursi in un uso esclusivamente egoistico dei beni comuni. Il principio di solidarietà condominiale non è una mera teoria astratta, bensì un fondamentale criterio giuridico, formalmente sancito e tutelato dall’articolo 1102 del Codice civile.

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Come ripartire le spese e le responsabilità nel caso di rottura degli impianti di scarico

Con la sentenza numero 7717 del 25 agosto 2025, il Tribunale di Napoli ha nuovamente affrontato il delicato tema della corretta identificazione dei soggetti obbligati a partecipare alle spese per la riparazione degli impianti di scarico e, di conseguenza, a rispondere delle eventuali responsabilità risarcitorie derivanti dal danneggiamento della proprietà di altri condòmini.

Il principio stabilito dal giudice partenopeo, in linea con quello che si può considerare l’orientamento giurisprudenziale prevalente (pur esistendo alcune pronunce discordanti), è il seguente: nel contesto condominiale, le tubature orizzontali sono da ritenersi di proprietà del titolare dell’unità immobiliare dove esse si trovano, anche qualora il danno sia rilevato nella zona della braga di scarico, ossia il punto di connessione tra la tubazione orizzontale e quella verticale.

Per quanto riguarda invece le tubature verticali, ovvero quelle che si sviluppano in senso verticale dal basso verso l’alto e al di fuori degli appartamenti privati, come la colonna principale per il carico e lo scarico delle acque reflue, esse rientrano nella competenza del condominio.

 

Presupposti e conseguenze del principio

Questo argomento si sviluppa sulla base di un’analisi logica che parte dal caso specifico della rottura della braga e delle conseguenti infiltrazioni d’acqua nei piani sottostanti. La braga, infatti, ha la sola funzione di convogliare le acque nere verso la colonna di scarico condominiale, senza svolgere alcun ruolo funzionale diretto nei confronti del condominio. La sua utilità concreta si limita esclusivamente al proprietario dell’appartamento in cui è installata, in quanto garantisce il corretto smaltimento dei liquami prodotti all’interno di tale unità immobiliare.

Di conseguenza, il responsabile della gestione e manutenzione della braga sarà il privato proprietario dell’appartamento, salvo che quest’ultimo fornisca prova di un caso fortuito, ovvero un evento straordinario e imprevedibile capace di interrompere il nesso causale tra la propria condotta e il danno verificatosi. In assenza di tale dimostrazione, spetterà al proprietario farsi carico della riparazione del guasto e del risarcimento per i danni da infiltrazioni causati a terzi come conseguenza della rottura della tubazione orizzontale. Questo principio si applica in virtù del generale dovere di custodia che incombe su colui che ha un rapporto fattuale con il bene danneggiato, il quale è sotto la sua esclusiva responsabilità.

 

Il caso specifico

Nel caso esaminato dal Tribunale di Napoli, è stata accolta la richiesta avanzata da un condòmino, proprietario di due appartamenti nello stabile. A quest’ultimo è stato riconosciuto un risarcimento superiore ai tremila euro, in quanto aveva subito gravi allagamenti nella sua proprietà causati dalla rottura della braga di scarico dell’immobile situato al piano superiore. Tale danno lo aveva costretto a ridurre l’importo del canone di locazione al proprio inquilino.

Il convenuto, che si era costituito in giudizio chiamando in causa il condominio e sostenendo che la braga fosse di natura condominiale piuttosto che privata, si è visto respingere la propria linea difensiva sulla base di una consulenza tecnica d’ufficio sfavorevole. È stato condannato non solo a risarcire le minori entrate subite dal condomino ma anche a pagare le spese legali in favore del danneggiato e del terzo chiamato in causa.

 

Il dibattito giurisprudenziale

La sentenza si distingue principalmente per il suo contributo al riaccendersi di un dibattito mai del tutto sopito. Al centro di questa discussione si trovano due opposti orientamenti: da una parte, la visione maggioritaria che considera la braga di scarico un bene privato e, dall’altra, quella che ne sostiene la natura condominiale, valorizzando il ruolo della tubazione di raccordo in relazione alla struttura dell’edificio.

A sostegno del primo orientamento, sono emblematiche le pronunce della Corte di Cassazione 1027/2018 e 15302/2022, che stabiliscono quanto segue: la braga di raccordo, utilizzata esclusivamente per convogliare gli scarichi del singolo appartamento, è considerata di proprietà privata. Diversamente, la colonna verticale, destinata a raccogliere gli scarichi di tutti gli appartamenti, è qualificata come bene condominiale, poiché assolve una funzione comune. Di contro, il secondo orientamento trova fondamento in una pronuncia più datata, la sentenza 10584/2012 della Corte di Cassazione, che attribuisce natura condominiale alla braga. Secondo questa interpretazione, tale elemento non solo svolge una funzione essenziale rispetto alla colonna di scarico, ma ne costituisce anche parte integrante in virtù del suo collegamento strutturale al tratto verticale.

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Lavori edili nei condomini: quali sono gli orari e le regole da rispettare?

Effettuare lavori di ristrutturazione all’interno di un appartamento situato in condominio può generare inconvenienti per gli altri residenti. Per questo motivo, è fondamentale rispettare le fasce orarie dedicate al silenzio e programmare gli interventi nei giorni e negli orari consentiti. Al fine di gestire tali situazioni e prevenire possibili conflitti tra i condòmini, è consigliabile prendere in considerazione alcuni aspetti prima di dare avvio ai lavori.

 

Nessuna normativa esiste in materia

Per prima cosa, va precisato che non esiste una legge nazionale che definisca specifiche fasce orarie per i lavori di ristrutturazione in condominio. È quindi necessario consultare i regolamenti dei singoli Comuni, i quali stabiliscono le norme relative alle attività rumorose, siano esse edilizie o di altra natura.

Le normative possono differire significativamente da una città all’altra e, talvolta, persino da un quartiere all’altro. Pertanto, è fondamentale consultare i siti ufficiali dei Comuni per comprendere le modalità corrette da seguire. Per quanto riguarda i regolamenti condominiali, questi non possono prevedere orari o restrizioni che si discostino da ciò che è stato stabilito a livello comunale, poiché le disposizioni comunali prevalgono e i regolamenti condominiali devono generalmente adeguarsi. L’unica eccezione riguarda i regolamenti condominiali di natura contrattuale, redatti dal costruttore e firmati da tutti gli acquirenti al momento della compravendita, approvati in via unanime. Questi possono introdurre fasce orarie anche più rigide rispetto a quelle stabilite dai Comuni.

 

Le fasce di silenzio

Di norma, i lavori che generano rumore sono proibiti nelle prime ore del mattino, nel primo pomeriggio e di sera, corrispondenti alle cosiddette “fasce orarie di silenzio”, durante le quali la maggior parte dei condòmini si dedica al riposo o al proprio tempo libero.

Generalmente, i lavori edili in condominio possono essere effettuati dalle 8.00 del mattino fino alle 12.30/13.00 e dalle 15.00 alle 18.30/19.00 ad esclusione dei giorni festivi e delle domeniche. Nei giorni prefestivi, invece, possono vigere orari diversi da rispettare.

Tali regole e fasce orarie sono state istituite in modo da garantire un equilibrio tra la necessità di effettuare dei lavori di manutenzione e ristrutturazione degli appartamenti e il diritto dei condòmini a godere della giusta quiete nelle proprie abitazioni.

 

I regolamenti comunali

Alcuni Comuni classificano i lavori edili in base al livello di rumorosità, distinguendo tra quelli rumorosi e quelli meno invasivi. Questa suddivisione consente di stabilire nei regolamenti le fasce orarie durante le quali è consentito o vietato svolgere interventi particolarmente rumorosi all’interno di condomini o in appartamenti situati vicino a uffici o attività commerciali operative. Prima di avviare lavori in un appartamento condominiale, è sempre opportuno verificare il regolamento comunale e consultare l’impresa edile incaricata, che potrebbe già essere a conoscenza delle norme locali, specialmente se ha precedentemente operato nella stessa area.

 

Le comunicazioni all’amministratore e agli altri condòmini

Prima di avviare i lavori, è essenziale informare l’amministratore di condominio e affiggere in bacheca un cartello contenente informazioni importanti: la data di inizio e fine lavori (o il periodo previsto), l’appartamento interessato, gli orari di lavoro stabiliti dal Comune, il nome dell’impresa edile incaricata e i recapiti telefonici per eventuali comunicazioni. È consigliabile includere anche una breve frase di scuse per i disagi che potrebbero verificarsi. Questo avviso dovrebbe essere esposto circa una settimana prima dell’inizio dei lavori, in modo da garantire che tutti i condòmini siano informati con adeguato anticipo.

Nel caso in cui l’impresa edile non rispetti le fasce orarie stabilite, occorre segnalarlo all’amministratore di condominio. Quest’ultimo dovrà contattare il committente dei lavori per intervenire rapidamente e risolvere il problema.

 

Conclusioni

Se il committente non si dovesse attivare per risolvere il problema, generando ulteriori disagi ai condòmini, si potrebbero adottare interventi più determinanti, come contattare il comando di Polizia Municipale affinché effettui un sopralluogo, valuti la situazione e, se necessario, prenda i provvedimenti appropriati.

Qualora ci si trovasse davanti a una circostanza più critica, si potrebbe considerare l’azione legale come ultima risorsa, anche se è sempre consigliabile tentare prima una mediazione per risolvere la questione in modo amichevole.