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È vietata l’affissione in bacheca di debiti condominiali

Qualunque informazione relativa ai partecipanti al condominio, raccolta dall’amministratore nell’ambito della gestione condominiale, costituisce a tutti gli effetti «dato personale»

 

L’affissione, nella bacheca situata nell’androne condominiale, di dati personali riguardanti le posizioni debitorie dei singoli condòmini eccede i limiti di una comunicazione giustificata tra i condòmini stessi. Tale pratica, infatti, avviene in uno spazio accessibile al pubblico e non solo risulta superflua per le esigenze di amministrazione condominiale, ma comporta soprattutto la divulgazione di tali dati a una platea indeterminata di persone estranee. Questo costituisce una diffusione indebita dei dati, configurando una responsabilità civile sulla base degli articoli 11 e 15 del Codice per la protezione dei dati personali. Tale posizione è stata chiarita dal Tribunale di Taranto nella sentenza n. 826 del 7 aprile 2025.

 

L’indebita diffusione di dati

La sentenza è particolarmente efficace nel rilevare che, quasi sempre, l’esposizione pubblica dei dati dei morosi nella bacheca condominiale non ha l’obiettivo di informare sui fatti, ma piuttosto quello di esercitare una forma di inadeguata reprimenda. A supporto di tale interpretazione, la Corte Suprema, con la sentenza n. 29323 del 7 ottobre 2022, ha chiaramente stabilito che anche la comunicazione in bacheca dell’avviso di convocazione dell’assemblea, contenente il nominativo di un condòmino non in regola con i pagamenti, rappresenta una diffusione illecita di dati personali.

 

Cosa si può pubblicare in bacheca

È sorprendente che il concetto non sia ancora diffusamente conosciuto e applicato, nonostante la sentenza della Corte Suprema n. 186 del 4 gennaio 2018 abbia chiarito che qualsiasi informazione riguardante i partecipanti al condominio, raccolta dall’amministratore nel contesto della gestione condominiale, costituisce a tutti gli effetti un “dato personale”. Di conseguenza, il trattamento e la diffusione di tali dati devono rispettare le disposizioni del Decreto Legislativo 196/2003 e del Regolamento Europeo 679/2016 (come evidenziato anche nelle sentenze della Cassazione n. 17665/2018 e n. 15186/2021).

Ciò comporta l’obbligo di rispettare i principi di proporzionalità, pertinenza e non eccedenza in relazione alle finalità per cui i dati sono raccolti. Sebbene sia vietato esporre pubblicamente i morosi, tale divieto non ostacola in alcun modo il diritto di ogni condomino a conoscere gli eventuali inadempimenti altrui verso la collettività condominiale. Tuttavia, queste informazioni devono rimanere confinate alla cerchia strettamente condominiale, mentre le comunicazioni riportate sulla bacheca condominiale devono mantenere un carattere generale e riferirsi esclusivamente a beni e servizi comuni.

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Privacy: la registrazione delle assemblee condominiali, quando è possibile e a quali condizioni

Devono essere previamente autorizzate da delibera, limitate, sicure e cancellate dopo l’uso previsto

È lecito registrare l’assemblea condominiale? Chi ha l’autorità per farlo? E, soprattutto, quali misure devono essere adottate per garantire il rispetto della normativa sulla privacy? Questi interrogativi stanno diventando sempre più comuni nella gestione delle dinamiche condominiali, complice l’aumento delle controversie e il crescente bisogno di trasparenza. A questo proposito, le Linee Guida 2025 del Garante per la protezione dei dati personali, contenute nel documento di indirizzo sul trattamento dei dati in ambito condominiale, offrono oggi una risposta precisa, bilanciando trasparenza, correttezza e salvaguardia della riservatezza dei partecipanti.

 

Registrazione da deliberare

La registrazione audiovisiva o esclusivamente audio dell’assemblea rappresenta un trattamento di dati personali, in quanto consente di identificare, direttamente o indirettamente, i partecipanti, le loro dichiarazioni, le opinioni espresse e persino le modalità di voto. Per questo motivo, non può essere effettuata in modo arbitrario. In linea generale, una registrazione è consentita solo se approvata dall’assemblea stessa con la maggioranza dei presenti e preceduta da un’adeguata informativa diretta a tutti i partecipanti, da comunicare prima dell’inizio dell’incontro. Non è quindi mai permesso che un singolo condomino proceda autonomamente alla registrazione dell’assemblea senza informare né aver ottenuto il consenso degli altri, poiché tale comportamento configurerebbe un trattamento illecito, come più volte sottolineato dal Garante.

 

Il contenuto della delibera

Le finalità legittime per effettuare una registrazione possono variare, ma devono sempre essere chiaramente specificate nella delibera. Tali finalità possono includere la redazione del verbale, la documentazione delle attività svolte o l’attestazione di quanto accaduto durante l’assemblea. In ogni caso, non è mai consentita la diffusione delle registrazioni al di fuori della sfera condominiale, così come la loro pubblicazione online o l’invio indiscriminato tramite email o WhatsApp. A tal proposito, il Garante stabilisce con fermezza che la registrazione deve essere conservata solo per il tempo strettamente necessario alla stesura del verbale o alla verifica delle decisioni prese e deve essere eliminata una volta esaurito lo scopo per cui è stata effettuata.

L’utilizzo della registrazione per finalità di tutela legale, ad esempio in caso di contestazioni relative a una delibera, può essere ammissibile, ma deve essere esaminato caso per caso alla luce dei principi di liceità, minimizzazione e necessità. Anche in tali circostanze, è indispensabile fornire un’informativa dedicata e garantire che l’accesso alle registrazioni rimanga limitato esclusivamente alle parti coinvolte nel procedimento.

 

Inserimento nel registro

Le Linee Guida 2025 stabiliscono che il trattamento dei dati deve sempre essere documentato per essere considerato lecito. Qualora sia l’amministratore a occuparsi della registrazione, questi è tenuto a registrarla nel registro delle attività di trattamento e ad adottare misure di sicurezza adeguate, come la protezione dell’accesso alle registrazioni, la cifratura dei file e la cancellazione automatica una volta decorso il termine stabilito. I file non possono essere conservati indefinitamente sul computer dello studio amministrativo né trasferiti senza controllo attraverso canali non sicuri, come chat informali o gruppi WhatsApp. Anche in questo ambito, il Garante raccomanda massima cautela, precisando che le comunicazioni elettroniche contenenti dati personali devono avvenire mediante canali sicuri e protetti da accessi non autorizzati.

È inoltre fondamentale sottolineare che il diritto di effettuare registrazioni non è una prerogativa individuale di un singolo condomino. Solo una delibera assembleare, approvata secondo le modalità previste dalla legge, può autorizzare la registrazione di un incontro. Registrazioni effettuate con modalità differenti, come quelle realizzate di nascosto, possono essere segnalate al Garante o utilizzate in sede giudiziaria solo nei rari casi eccezionali riconosciuti dalla giurisprudenza, ad esempio se si configurano come prove in un procedimento penale in presenza di un reato.

 

La registrazione senza via libera è illecità

È importante sottolineare che l’amministratore di condominio non può procedere autonomamente con la registrazione dell’assemblea senza una specifica delibera approvata dai condòmini, secondo le maggioranze stabilite dalla legge. Tale attività non rientra tra i suoi poteri ordinari e non può essere giustificata neppure invocando il principio di trasparenza o la necessità di redigere il verbale, a meno che non vi sia un’esplicita autorizzazione. Le Linee Guida 2025 del Garante per la privacy chiariscono infatti che la registrazione delle assemblee condominiali è possibile solo previa delibera assembleare che specifichi le finalità della registrazione e a seguito di un’adeguata informativa ai partecipanti. L’amministratore, quindi, non ha il diritto di effettuare registrazioni su iniziativa personale. Di conseguenza, qualsiasi registrazione effettuata senza informare preventivamente i partecipanti o senza l’approvazione dell’assemblea è considerata illecita e può configurare una violazione dei diritti degli stessi, con tutte le relative conseguenze, incluse eventuali sanzioni previste dal GDPR.

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Agevolazione prima casa anche per immobili in costruzione

La Nota II bis dell’articolo 1 della Tariffa, Parte I, allegata al DPR 131/1986, che regola l’agevolazione per l’acquisto della prima casa ai fini dell’imposta di registro, è applicabile anche nei casi di permuta in cui si cede un bene esistente in cambio dell’impegno a costruire una futura unità immobiliare abitativa (nota come permuta tra cosa presente e cosa futura o “cambio camere”). Questo beneficio è previsto a condizione che l’operazione abbia lo scopo di garantire all’acquirente la propria prima abitazione e che l’immobile sia effettivamente destinato a uso residenziale, rispettando i requisiti stabiliti dalla legge. Tale interpretazione è stata confermata dalla Cassazione con l’ordinanza n. 25761, pubblicata il 22 settembre 2025.

 

La vicenda processuale

Nel caso analizzato, tre privati hanno ceduto la proprietà di un immobile a una società a responsabilità limitata, con l’impegno da parte di quest’ultima di realizzare tre unità abitative. Il progetto edilizio è stato completato entro il termine di tre anni dalla registrazione dell’atto notarile. Nonostante ciò, l’Amministrazione finanziaria ha emesso un avviso di liquidazione per il recupero della maggiore imposta, ritenendo che l’agevolazione “prima casa” fosse revocabile. Tale decisione amministrativa è stata contestata e il giudice d’appello ha annullato l’avviso, considerando che la natura atipica del contratto di permuta non precludesse l’applicazione dell’agevolazione. Successivamente, l’Amministrazione ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo l’inapplicabilità dell’agevolazione al caso specifico, basandosi sulla differenza tra cosa presente e cosa futura.

La destinazione del bene

La Corte di Cassazione, respingendo le obiezioni sollevate dall’Amministrazione, ha ribadito un consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui l’agevolazione “prima casa” è applicabile anche all’acquirente di un immobile in fase di costruzione, a patto che lo stesso sia destinato a uso abitativo principale e non rientri nelle categorie catastali di lusso. La conservazione del beneficio è condizionata all’ultimazione dell’immobile entro il termine di tre anni previsto dall’articolo 76, comma 2, del Dpr 131/1986, scadenza che incide sulla possibilità dell’Amministrazione di verificare il possesso dei requisiti necessari per il godimento dell’agevolazione (sentenza della Cassazione 5180/2022).

La Corte ha inoltre sottolineato la logica sottesa alla Nota II bis, che mira a favorire l’acquisto della prima abitazione. Escludere l’agevolazione nei confronti di chi acquista un immobile non ancora completato determinerebbe una ingiustificata disparità di trattamento rispetto a chi compra un immobile già ultimato. Su questo punto si è espressa favorevolmente anche la giurisprudenza di legittimità in casi riguardanti acquirenti di fabbricati collabenti, purché suscettibili di interventi edilizi finalizzati alla trasformazione in abitazioni principali (ordinanza 3913/2025).

Dal ragionamento adottato dalla Corte si deduce che, ai fini dell’applicazione delle agevolazioni previste per l’acquisto della prima casa, prevale la reale destinazione dell’immobile a residenza principale dell’acquirente rispetto alle condizioni materiali o procedurali dell’immobile al momento dell’acquisto. Di conseguenza, anche la permuta tramite cui si cede un bene già esistente in cambio della costruzione di una futura unità abitativa può rientrare nell’ambito della Nota II bis, purché tale operazione sia finalizzata ad assicurare la prima casa e la destinazione a residenza venga effettivamente realizzata entro i termini stabiliti dalla legge.

 

Il trasferimento di residenza

L’ordinanza 25761/2025 non ha fornito una soluzione definitiva riguardo al termine entro cui l’acquirente di un immobile in costruzione deve trasferire la propria residenza nel Comune dove si trova l’immobile per usufruire dell’agevolazione prevista. La questione è oggetto di dibattito sia in ambito dottrinale che giurisprudenziale: da un lato, la Corte di Cassazione, con la sentenza 17867/2022, ha riconosciuto applicabile anche a questa fattispecie il termine di 18 mesi a partire dalla data di acquisto per il trasferimento della residenza, equiparando l’acquisto dell’immobile in costruzione all’acquisto di un immobile già completato; dall’altro, decisioni di merito hanno adottato posizioni divergenti, dando luogo a orientamenti non uniformi.

La distinzione tra il termine di tre anni per il completamento dell’immobile e quello di 18 mesi per il trasferimento della residenza si basa sulla diversa natura degli istituti normativi coinvolti: il legislatore ha esplicitamente fissato il termine entro cui va trasferita la residenza, mentre non ha definito alcuna scadenza per la realizzazione dell’edificio. Questa differenza comporta, nei casi in cui l’immobile non risulti completato entro i 18 mesi, che il contribuente possa trovarsi nella condizione di dover trasferire la propria residenza in un altro immobile situato nello stesso Comune, con lo scopo di mantenere il beneficio fiscale. Tale questione solleva la necessità di una riflessione critica in chiave interpretativa e di un possibile intervento normativo, al fine di eliminare ambiguità applicative e prevenire eventuali disparità di trattamento.

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Risarcimento a chi scivola nel cortile solo se prova il nesso tra caduta e pavimentazione

La caduta avvenuta in un cortile condominiale è al centro dell’ordinanza della Cassazione 22283/2025, resa pubblica il 2 agosto. L’episodio ha origine dall’azione legale promossa da una donna che, scivolando nell’androne di un condominio a Milano, ha attribuito l’incidente allo stato della pavimentazione, descritta come eccessivamente lucida, e alla presenza di neve, ghiaccio e acqua accumulatisi dopo una copiosa nevicata. La donna aveva avanzato una richiesta di risarcimento nei confronti del condominio, che a sua volta aveva coinvolto l’assicurazione dello stabile. Tuttavia, la signora, risultata soccombente sia in primo che in secondo grado per non aver dimostrato adeguatamente il legame tra le condizioni della pavimentazione e la caduta, ha deciso di ricorrere alla Corte di Cassazione.

 

La natura oggettiva della responsabilità del custode

Nemmeno la Suprema Corte ha accolto le ragioni della parte danneggiata. Facendo riferimento alla sentenza di Cassazione n. 11152/2023, i giudici di legittimità hanno sottolineato che la responsabilità prevista dall’articolo 2051 del Codice Civile è di natura oggettiva, poiché si basa esclusivamente sulla prova del nesso causale tra la cosa custodita e il danno.

Tale responsabilità non si fonda su una presunzione di colpa del custode, ma su un criterio di imputazione che attribuisce a chi detiene la custodia della cosa il compito di rispondere per determinati eventi, indipendentemente da qualsiasi elemento di colpa nel comportamento del custode.

 

La prova del nesso causale

Per quanto riguarda la richiesta di risarcimento, il danneggiato deve dimostrare l’esistenza di un nesso di causalità tra il danno subito e l’oggetto in custodia, nonché le eventuali misure che avrebbero dovuto essere adottate per prevenire il verificarsi dell’evento. Questo principio, sancito dalla Cassazione (sentenza 22764/2024), stabilisce che il risarcimento è legittimato solo qualora sia provato il collegamento causale tra la cosa e il danno, prescindendo dalle caratteristiche intrinseche o dalla pericolosità dell’oggetto stesso. Inserire l’avvenimento in un contesto specifico, come ad esempio un androne, non basta: è fondamentale dimostrare la concreta dinamica dell’accaduto, vale a dire l’insieme dei fattori e la sequenza dei fatti che hanno portato alla generazione dell’evento, evidenziandone gli effetti determinanti.

 

L’imprudenza della vittima

La signora non ha fornito prove che l’incidente si sia verificato esattamente nel tratto innevato. Di conseguenza, viene meno il collegamento con le condizioni dell’androne e si evidenzia un’altra questione: la negligenza della stessa signora. In qualità di condomina e consapevole delle condizioni meteorologiche, ha attraversato lo spazio comune senza adottare alcuna precauzione.