Il pagamento delle spese comuni rappresenta un aspetto cruciale della gestione condominiale e una morosità protratta, specie se addebitabile a più partecipanti, ne ostacola il costante esercizio
L’importanza del pagamento delle spese comuni nell’economia del condominio
Nel nostro ordinamento, tutti i condomini sono tenuti a contribuire proporzionalmente alle spese necessarie per la manutenzione e il godimento delle parti comuni dell’edificio, per i servizi forniti nell’interesse collettivo e per le innovazioni approvate dalla maggioranza. Questo contributo non rappresenta un rimborso per spese già sostenute, salvo nei casi di interventi urgenti con esborso immediato da parte dell’amministratore, ma è invece un anticipo che si basa sul bilancio preventivo annuale approvato dall’assemblea condominiale. La base di questa obbligazione si trova non solo nei diritti di proprietà, individuale o condivisa, che il condomino detiene sulle parti comuni, ma anche nei benefici che egli può ottenere da tali beni e servizi. Per questo motivo, la giurisprudenza definisce le spese condominiali come “obbligazioni propter rem”, in quanto derivano dalla contitolarità del diritto reale sui beni e servizi comuni, piuttosto che dalla stipula di un contratto (Cassazione, sentenza 18 aprile 2003, n. 6323). Questo concetto trova ulteriore conferma nel caso di vendita di un’unità immobiliare: l’obbligo di partecipazione alle spese si trasferisce automaticamente dal venditore all’acquirente. In tale contesto, si parla di “ambulatorietà” dell’obbligazione (Cassazione, sentenza 12 novembre 2024, n. 29199). Lo stesso principio si applica all’usufruttuario, il cui ruolo è stato chiarito dalla legge 220/2012, che lo include esplicitamente nel quadro normativo. Questo sistema normativo sottolinea l’importanza di un flusso continuo e regolare di contributi alle finanze condominiali. L’assenza di liquidità, infatti, comprometterebbe gravemente la capacità del condominio di adempiere agli obblighi nei confronti dei terzi e di gestire efficacemente le risorse comuni. A tale proposito, emerge la rilevanza del ruolo dell’amministratore nel recupero dei crediti condominiali, sia quelli previsti dal bilancio preventivo annuale sia quelli derivanti dai conguagli di gestione. L’amministratore è investito di specifici compiti volti a prevenire situazioni di insolvenza nelle casse condominiali, ricorrendo a strumenti che riducano il rischio di sofferenze finanziarie. Queste criticità, infatti, non derivano mai da eventi imprevedibili ma dall’assenza del necessario controllo e dalla mancata esazione delle somme dovute.
L’amministratore deve riscuotere i contributi anche per via ingiuntiva
Uno dei principali doveri dell’amministratore condominiale deriva dalla combinazione degli articoli 1130, n. 3, del Codice Civile e 63 delle disposizioni attuative dello stesso codice. Questi definiscono il ruolo dell’amministratore come una sorta di “esattore”, incaricato di riscuotere i contributi stanziati dall’assemblea condominiale per la gestione ordinaria e operativa delle parti comuni dell’edificio. A ciò si aggiungono i pagamenti relativi agli interventi straordinari, che sono vincolati esclusivamente alla decisione discrezionale dell’assemblea, come previsto dall’articolo 1135, comma 2, del Codice Civile. Nel caso in cui le rate ordinarie siano scadute, oppure dopo l’emissione dei bollettini di pagamento per spese non incluse nella normale gestione condominiale, l’amministratore può avviare la procedura di sollecito in caso di mancato pagamento spontaneo. Questo processo include un primo avviso, seguito da una comunicazione formale tramite legale e, infine, il ricorso al procedimento giudiziario per ottenere un decreto ingiuntivo. È stato considerato legittimo agire in via ingiuntiva anche senza la necessità di inviare preventivamente un atto formale di messa in mora, dato che i condomini sono obbligati a versare gli oneri condominiali. Questa interpretazione è supportata da parte della giurisprudenza di merito (Tribunale di Roma, sentenza del 5 febbraio 2021, n. 2053), secondo cui un decreto ingiuntivo non è affetto da improcedibilità per il solo fatto di non essere stato preceduto da una esplicita richiesta di pagamento. Il legislatore non impone all’amministratore alcun atto formale in tal senso e, nell’ambito del suo mandato, egli ha il dovere di agire per il recupero dei crediti senza necessità di ottenere una delibera assembleare. Tuttavia, un sollecito informale si rivela spesso una scelta opportuna per chiarire eventuali disguidi nelle comunicazioni o semplici dimenticanze da parte del condomino, sensibilizzandolo così al rispetto dei propri obblighi. La disciplina relativa alla riscossione delle morosità è regolata, oltre che dall’articolo 63 delle disposizioni attuative del Codice Civile, anche dall’articolo 1129, comma 9, dello stesso codice. Quest’ultimo rafforza il compito dell’amministratore nella riscossione coattiva dei crediti entro sei mesi dalla chiusura dell’esercizio contabile in cui il credito risulta esigibile, stabilendo anche che solo l’assemblea può liberare l’amministratore dall’obbligo di procedere. Nonostante il limite apparente nel riferimento temporale imposto dalla norma (ossia la chiusura dell’esercizio contabile), è possibile ottenere un decreto ingiuntivo basato sul bilancio preventivo. Tuttavia, la mancata allegazione dello stato di ripartizione delle spese impedisce la concessione della provvisoria esecuzione del provvedimento monitorio. Infatti, la giurisprudenza ha stabilito che l’articolo 63, comma 1, delle disposizioni attuative del Codice Civile possiede un valore probatorio particolare, equivalente a quello attribuito ai documenti elencati dall’articolo 642, comma 1, del Codice di Procedura Civile (Corte di Cassazione, ordinanza del 24 settembre 2020, n. 20003).
Morosità protratta per un semestre: elementi che definiscono la sospensione
Per facilitare il recupero dei crediti condominiali, il legislatore ha ideato un sistema volto a spingere il debitore verso un rapido adempimento, evitando così conseguenze immediate e significative sulla sua vita quotidiana. A tale fine, l’articolo 63, comma 3, delle disposizioni di attuazione del codice civile prevede la possibilità di sospendere l’accesso ai servizi comuni suscettibili di godimento separato per i condomini morosi da oltre sei mesi. È rilevante osservare che la riforma del 2012 ha attribuito piena autonomia all’amministratore in questa materia, eliminando il vincolo imposto dalla precedente normativa, che richiedeva un’autorizzazione specifica nel regolamento condominiale. Al riguardo, sono necessarie alcune precisazioni sul contenuto della disposizione:
– La sospensione del servizio comune e l’attivazione del decreto ingiuntivo sono misure distinte e autonome, pertanto non è presente una gerarchia tra le due. Infatti, la sospensione è a discrezione dell’amministratore, mentre il decreto ingiuntivo rappresenta un atto obbligatorio, pur senza esplicite sanzioni in caso di mancata applicazione.
– La morosità deve essere continuativa, ovvero mantenersi senza interruzioni per un periodo minimo di sei mesi.
– L’utilizzo del termine “mora” potrebbe implicare la necessità di un atto formale che evidenzi i debiti scaduti. In questo scenario, l’amministratore dovrebbe inviare al condomino un avviso tramite raccomandata con ricevuta di ritorno o PEC, specificando che, se entro una data precisa il debito non verrà saldato, sarà sospesa la fruizione di uno specifico servizio. Tale comunicazione rappresenta una misura invasiva che richiederebbe un’attenta formalizzazione preliminare.
– Il servizio oggetto della sospensione deve essere fruibile in modo autonomo, senza influenzare l’utilizzo degli altri condomini.
– L’assenza nella norma di riferimenti a ulteriori autorizzazioni lascia intendere che non sia necessaria una preventiva delibera assembleare. Si tratta infatti di una prerogativa esclusiva dell’amministratore, non subordinata al ricorso preliminare all’autorità giudiziaria, salvo nei casi in cui la sospensione richieda l’accesso alla proprietà del condomino debitore. Questa disciplina evidenzia dunque un equilibrio tra le esigenze del condominio e la responsabilità dell’amministratore nel gestire i conflitti derivanti dalla morosità.
L’orientamento della giurisprudenza nella soluzione delle varie problematiche
Il vasto panorama giurisprudenziale, principalmente riferito al merito, riflette la moltitudine di questioni sorte in relazione all’utilizzo di uno strumento evidentemente coercitivo, seppur privo di carattere sanzionatorio. Innanzitutto, va sottolineato che la sospensione del servizio ha una durata temporanea e deve terminare una volta realizzato l’adempimento richiesto. Quanto all’applicazione della misura, non è stata ritenuta necessaria una corrispondenza diretta tra il debito accumulato e il tipo di servizio sospeso. Tale correlazione risulta esclusa sia dal dato testuale della disposizione — che menziona un mancato pagamento dei “contributi” in maniera oggettivamente non determinata — sia dalla genericità della sospensione relativa ai servizi comuni. A tal proposito, si è espresso il Tribunale di Ferrara (sentenza n. 444 del 7 maggio 2025, in un caso riguardante la sospensione del riscaldamento geotermico per morosità condominiali complessive), affermando che la natura del bene oggetto del servizio non incide sulla legittimità della sospensione. Tale interpretazione è conforme al dettato letterale dell’articolo 63 delle disposizioni di attuazione del codice civile. Già nella fase iniziale della riforma, era stato rilevato che la norma non indicava alcun rapporto di corrispettività tra la prestazione non adempiuta e la sospensione del servizio (Tribunale di Brescia, ordinanza 13 febbraio 2014, n. 427). Un altro punto interessante riguarda il requisito di proporzionalità tra l’inadempimento e il provvedimento adottato nei confronti del condomino tramite l’autotutela. In termini pratici, si tratta di valutare se una morosità relativa a un semestre, magari economicamente non rilevante, possa giustificare la sospensione dell’erogazione di un servizio comune. Su questo tema, il Tribunale di Reggio Emilia (sentenza 17 ottobre 2024, n. 1007) ha chiarito che l’interesse economico condominiale non può prevalere sui diritti fondamentali dei singoli individui, richiedendo un bilanciamento con la tutela del diritto alla salute garantito dall’articolo 32 della Costituzione. Questa valutazione spetta alla discrezionalità del giudice, il quale deve considerare che la sospensione del servizio mira a proteggere un diritto puramente economico del condominio, recuperabile in ogni caso. Da tale questione emerge un ulteriore tema rilevante sul quale la giurisprudenza non ha sempre raggiunto un orientamento uniforme: la distinzione tra servizi essenziali e non essenziali. Sebbene manchi una specifica regolamentazione normativa in proposito, tale distinzione pone il problema di stabilire se sia lecito sospendere servizi essenziali quali riscaldamento, fornitura di acqua calda e fredda o antenna centralizzata. Per questi beni, utilizzabili separatamente, la sospensione può avvenire secondo modalità diverse. Gran parte della giurisprudenza si è pronunciata contro l’intangibilità delle prestazioni (ad esempio Tribunale di Bologna, ordinanza 3 aprile 2018; Tribunale di Roma, ordinanza 27 giugno 2014 e altre), qualora persista una morosità condominiale. Tuttavia, per quanto riguarda l’approvvigionamento idrico, il principale limite da considerare sotto un profilo pubblicistico è contenuto nella normativa che tutela gli utenti morosi in comprovata difficoltà economico-sociale, garantendo loro un quantitativo minimo di erogazione (D.P.D.M. 29 agosto 2016 in attuazione della Legge di Stabilità 2016). Per altri servizi essenziali non esistono disposizioni simili sul piano normativo settoriale. Ad esempio, nel caso del riscaldamento, qualora venga interrotto il flusso diretto di calore per un condomino moroso, egli potrebbe comunque ricorrere a soluzioni autonome o alternative per soddisfare le proprie necessità termiche.
Conclusioni
Dall’analisi fino ad ora condotta emerge che lo strumento disciplinato dall’art. 63 disp. att. cod. civ., se applicato nel rispetto dei presupposti legali e operativi, può rappresentare un efficace deterrente per scoraggiare i condomini dall’adottare comportamenti di totale indifferenza verso la comunità. Pur non esistendo una correlazione diretta tra l’obbligo di agire legalmente e il potere di autotutela conferito dal legislatore, il ricorso a questa facoltà concessa all’amministratore potrebbe avere un effetto dissuasivo immediato, poiché implica una restrizione diretta nell’uso di un servizio comune. Questo aspetto appare particolarmente rilevante alla luce della crescente complessità e lentezza dei procedimenti giudiziari necessari per ottenere il rispetto degli obblighi da parte del condomino.

